Serve la giusta esperienza per muoversi bene nell’internazionalizzazione
In questa intervista da parte di Daniela Bandera, CEO di Nomesis, racconto come, dopo una carriera internazionale nel settore B2B, ora offro servizi di consulenza per l’internazionalizzazione di aziende tra la Svizzera e l’Italia. L’analisi approfondita del mercato globale, la valutazione dei rischi e l’adattamento culturale sono elementi chiave per un’espansione di successo. Servono, inoltre, un approccio strategico e attento agli aspetti culturali e normativi.
Export strategist: qual è stato il tuo percorso professionale che ti ha portato qui?
Sono nata a Bolzano e cresciuta a Brescia, dove ho sviluppato la mia formazione e carriera professionale. Dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università Cattolica di Brescia, mi sono specializzata in lingua tedesca, il che mi ha permesso di entrare nel mondo dell’industria bresciana, in particolare nel mercato B2B. Ho iniziato la mia carriera in un ruolo di back office commerciale presso una fonderia di pressofusione, specializzata in alluminio per l’industria automotive. Nel 1995, sono stata nominata Key Account per i clienti dei mercati di lingua tedesca.
Successivamente, ho lavorato per un’azienda specializzata nella trasformazione delle materie plastiche. Qui ho avuto l’opportunità di partecipare a un progetto di delocalizzazione delle forniture in Slovacchia, un’esperienza che ha trasformato il mio approccio commerciale. Mi sono occupata non solo di vendite, ma anche della gestione dei processi di trasferimento e delocalizzazione degli impianti, dei rapporti con i clienti locali e della formazione del personale. Ho anche dovuto apprendere la lingua slovacca per poter svolgere efficacemente il mio lavoro.
Nel 2008, ho deciso di avviare un’attività di brokeraggio tecnologico, mettendo in contatto domanda e offerta nel settore della trasformazione delle materie plastiche e dei metalli. Grazie alla mia esperienza internazionale, ho compreso le esigenze delle grandi multinazionali e ho cercato di sviluppare un business concentrato su prodotti di nicchia. Questa attività è durata fino al 2015, quando ho deciso di trasferirmi in Svizzera, liquidando la mia SRL.
Oggi vivo vicino a Zurigo, ma continuo a mantenere forti legami con la Lombardia, spostandomi frequentemente tra Brescia e Svizzera per lavoro. Dopo un’esperienza di tre anni presso un’azienda multinazionale che produce componenti plastici per applicazioni medicali, ho deciso di tornare a lavorare in proprio.
Attualmente offro servizi di consulenza in business strategy e business development ad aziende con un focus sul mercato europeo e di lingua tedesca.
In quali Paesi vendono principalmente i tuoi clienti i loro prodotti e con quali modalità (agenti, distributori, filiali commerciali, ecc.)?
A titolo di esempio, descrivo tre casi di clienti e dei loro modelli di business.
Il primo esempio riguarda un’azienda cosmetica della provincia bergamasca, specializzata in packaging. Questa azienda ha acquisito diverse piccole imprese che trasformano materie plastiche per produrre imballaggi per cosmetici. Il suo mercato principale è l’Europa occidentale, e i prodotti vengono venduti sia tramite agenti sia con vendite dirette ai clienti principali.
Un secondo esempio riguarda una società che progetta macchine professionali per il caffè, come quelle utilizzate nei bar o da catene come Starbucks. I mercati di destinazione di queste macchine variano a seconda del tipo di caffè prodotto, poiché non esiste solo l’espresso, nonostante sia diffuso a livello globale. In questo caso, ho seguito un progetto per un cliente della Svizzera francese.
Infine, un’esperienza particolarmente interessante è stata quella con un’azienda che offre servizi di innovazione front e back end. Questa azienda si occupa dello sviluppo di nuovi prodotti, servizi e soluzioni, dal concept iniziale fino al prototipo funzionale. Anche qui, la vendita è diretta, e i clienti sono prevalentemente multinazionali. È evidente che per gestire l’innovazione di prodotto sono necessarie solide basi finanziarie, il che implica che il cliente finale sia di dimensioni medio-grandi.
Quali sono gli aspetti su cui è essenziale soffermarsi per un ingresso di successo nei mercati internazionali?
Non si può prescindere da un’analisi dettagliata del contesto e dalla pianificazione strategica.
Analizzare il mercato è uno dei fattori più importanti, che l’imprenditore lombardo spesso non tiene in considerazione nel modo opportuno perché fatica a cambiare mentalità e adattarsi ai cambiamenti incredibili degli ultimi 30 anni. Oggi il mercato è globale e complesso, serve studiare a fondo il settore, le tendenze, gli indici di crescita, come si muove la concorrenza.
La domanda fondamentale è: con chi mi confronto sul mercato internazionale?
Il mio prodotto è competitivo? Quali sono i vincoli legali, logistici e regolamentari del paese in cui si vuole esportare o delocalizzare?
Vanno compresi gli aspetti doganali, regolamenti sul prodotto, normative per l’esportazione del prodotto e del servizio e poi il rischio paese politico e economico.
Ad esempio: la Russia dieci anni fa era un mercato in crescita e molto appetibile, oggi presenta criticità diverse. Il contesto cambia e va osservato con costanza per capire rischi, opportunità e capire come muoversi.
Come si individuano i Paesi in cui vendere prodotti e/o servizi? È una questione di intuito o di analisi strutturate?
L’individuazione dei paesi in cui vendere prodotti e servizi richiede una combinazione di intuizione e analisi strutturata. Sebbene l’intuizione possa essere utile, è essenziale supportarla con dati concreti e un’analisi approfondita per evitare investimenti rischiosi. Investire significa destinare un budget specifico all’internazionalizzazione, ma è fondamentale anche definire indicatori per monitorare se il progetto sta andando nella giusta direzione, evitando di scoprire troppo tardi di aver sprecato risorse.
Il processo parte dall’analisi del mercato globale e dalla ricerca sui paesi di interesse, considerando tendenze di settore, concorrenza, domanda, stabilità politica ed economica, normative commerciali, tendenze tecnologiche, accesso ai canali di distribuzione, analisi dei rischi e opportunità di partnership con aziende locali. Anche la stima delle risorse finanziarie e del personale locale è cruciale, così come il fattore linguistico. La conoscenza approfondita della lingua, specialmente nei settori specifici, è fondamentale per trasmettere il giusto messaggio al cliente e cogliere le sfumature durante le trattative.
Un’esperienza personale lo dimostra: durante una negoziazione con un cliente tedesco nel settore dell’automotive, il mio datore di lavoro, non conoscendo la lingua, non comprendeva che non era necessario concedere uno sconto. Grazie alla fiducia che aveva riposto in me, sono riuscita a chiudere l’accordo al prezzo che desideravamo, evitando di cedere alle richieste del cliente.
La competenza linguistica serve per comprendere il cliente e per interpretarne le intenzioni. Inoltre, l’esperienza diretta sul campo, come accaduto a me in Slovacchia negli anni ’90, insegna l’importanza di capire la cultura e la mentalità locali per gestire situazioni impreviste, come quando gli operatori delle macchine erano assenti perché impegnati nella raccolta delle patate. Questi aspetti, che vanno oltre i numeri e le analisi tradizionali, sono cruciali per una corretta valutazione delle opportunità internazionali.
Una volta individuati i paesi in cui vendere i prodotti o servizi quali sono gli aspetti fondamentali su cui concentrarsi per incrementare le probabilità di successo nel mercato scelto?
Bisogna capire in base al prodotto o servizio che si vende se è necessario dedicare un servizio clienti a livello locale. O se la distribuzione del nostro prodotto e servizio si può appoggiare ad una catena di distribuzione più efficiente, come un magazzino vicino alla produzione del cliente. È una cosa che si usa molto nel settore automotive, ovviamente il prezzo deve essere competitivo. Sviluppare una promozione efficace, ascoltare i feedback del cliente, rispondere agli eventi di mercato quindi mantenere una certa flessibilità e capacità di adattamento al contesto in cui si opera, cooperare con partner locali e non mollare mai sull’aspetto innovazione e adattamento continuo.
Come si identificano e come si entra in contatto con i potenziali clienti all’estero?
Innanzitutto io partirei da una ricerca di contatti e reti locali, cioè identificando delle organizzazioni commerciali locali tipo la camera di commercio, associazioni di settore e gli eventi di settore e partecipare a conferenze, webinar o fiere internazionali. Questo implica sempre e comunque dei costi. Oggi abbiamo l’aiuto delle piattaforme online: il sistema di LinkedIn Sales Navigator è un’ottima base per trovare dei contatti e dei potenziali acquirenti andando a contattare persone specifiche in posizioni adeguate al nostro scopo.
Spesso non funziona andare direttamente dal manager dell’ufficio acquisti a propormi, meglio collaborare con ricerca e sviluppo o marketing per instaurare un certo tipo di collaborazione con l’azienda. Servono poi partner locali: agenti di vendita, distributori che abbiano già una presenza consolidata sul mercato e possono facilitare l’ingresso nel mercato.
Che impatto ha l’internazionalizzazione sul personale delle aziende?
L’internazionalizzazione può avere delle ricadute sulle persone all’interno di un’organizzazione, così come ogni cambiamento che ci sposta dalla nostra comfort zone e ha un impatto sulla cultura aziendale, sulle competenze dei dipendenti e sulla comunicazione e struttura organizzativa. Serve creare competenze, flessibilità e apertura culturale: serve un’adeguata pianificazione e flessibilità, per gestire l’impatto sui processi operativi. Ad esempio anche soltanto aggiungere un’etichetta potrebbe richiedere un cambio di processo all’interno di una produzione, l’adeguamento dei sistemi informativi, dei software diversi per interagire con i software del cliente all’estero, ecc.
Quale consiglio daresti a un’impresa che sta considerando l’ipotesi di internazionalizzare il proprio business?
Il mio consiglio basato sull’esperienza diretta è di partire con una strategia ben strutturata e un approccio prudente per massimizzare le probabilità di successo. Non vanno sottovalutati gli aspetti culturali, mentalità e aspetti linguistici. Serve stabilire un budget accurato dedicato all’internazionalizzazione e testare il mercato prima di effettuare investimenti su larga scala.
Oggi di prodotti ne esistono tanti e sempre più spesso mi capita di incontrare persone che si rivolgono a me e dicono: ‘Ah, io ho sviluppato questo prodotto, lo voglio vendere negli Stati Uniti.’ Prima di investire sullo sviluppo tecnologico di prodotto va studiato il mercato, altrimenti il rischio di fallimento è elevato.